Oggi vi parliamo di un’antica leggenda napoletana. Avete mai sentito parlare della mosca d’oro di Porta Capuana?

La città di Napoli ha sempre avuto un rapporto non proprio armonioso con insetti e mosche. Sebbene la popolazione partenopea conservi un rapporto di interdipendenza con la ruralità, gli insetti in città non sono mai stati benvoluti. Il modo di dire “non si lascia passare la mosca al naso” trova la sua ragion d’essere proprio grazie a questo sentimento di ostilità.

Oltre alla spiacevole sensazione di dover fare i conti con un moscerino che ronza nelle orecchie, l’astio tra Napoli, zanzare e mosche trova motivazioni ben più ragionevoli. Come ben sappiamo, la città è stata spesso presa d’assalto da malattie contagiose: la responsabilità di pestilenze ed altre epidemie va infatti proprio attribuita alle zanzare e alle mosche che, giunte da lontane paludi, finirono presto per avvelenare anche l’aria di Napoli.

In passato la città era affollata di insetti, visti ai tempi come portatori di vere e proprie sciagure. Fu proprio in quegli anni di forte intolleranza che si diffuse il mito della mosca d’oro di Porta Capuana, una sorta di spirito custode incaricato di proteggere il territorio partenopeo.

Le origini

La leggenda della mosca d’oro è oggi caduta nel dimenticatoio, ma molto tempo fa era una delle storie più accreditate del posto, tanto da essere citata anche in un importante scritto di un Vescovo. Il religioso in questione raccontava all’interno della missiva di quando Enrico VI di Svevia, padre di Federico II, si rese testimone proprio di un evento che aveva come protagonista la mosca d’oro. Ovviamente anche stavolta parliamo di un capolavoro di fantasia a firma partenopea, che fu però al tempo oggetto di diverse superstizioni.

Il mito

La creazione della mosca viene attribuita a Virgilio, un mago molto noto in città. Lo stregone decise di liberare per sempre Napoli dalla piaga delle mosche, catturandone una e plasmandola nell’oro. Il talismano – che si racconta fosse grande come un rospo – venne posizionato nei pressi di Porta Capuana, ai margini orientali della città, dove sorgevano anche le paludi.

Ad esso veniva attribuita la capacità di allontanare ogni altra mosca. L’amuleto venne plasmato, secondo il mito, con il metallo che lo stregone aveva estratto dalle membra della terra partenopea. A parlare delle origini della leggenda fu anche il vescovo Giovanni di Salisbury, autore di Polycastricus. Il religioso spiegò che la mosca perse le sue capacità quando venne sradicata da Porta Capuana per essere portata nel Castello Cicala, ossia nei pressi del Monastero di Santa Chiara.

I poteri della creatura erano infatti profondamente legati ai confini orientali della città, a cui ancora oggi viene attribuito il curioso aneddoto.

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